La cacciata dei venditori dal Tempio è al tempo stesso uno degli atti del Signore più, diremmo oggi, “politicamente scorretti” e spesso travisati che abbia compiuto. Sembra di essere lontanissimi dalla scena in cui la Santa Famiglia salì al tempio, acquistò una coppia di tortore o giovani colombi, uno per l’olocausto, l’altro per il sacrificio di espiazione. Dopo averli regolarmente comprati (secondo le indicazioni della legge di Mosè) li diedero al sacerdote come offerta per la purificazione rituale di Maria e la presentazione del piccolo Gesù che aveva appena compiuto i 40 giorni di vita.
In questo affresco di “ordinaria” vita religiosa e di sincera devozione, niente faceva presagire che una trentina di anni dopo il Signore Gesù avrebbe compiuto un segno molto forte, un segno di “rottura” con una tradizione antica di molti secoli, la quale era “obbligante” per qualsiasi pio israelita. Così pure, il clima soprannaturale della Trasfigurazione che abbiamo meditato domenica scorsa, sembra non abbia similitudini con lo zelo distruttivo di Gesù che oggi vediamo all’opera.
In realtà il Signore non ha inteso sovvertire né la legge di Mosè, né le tradizioni, né gli atti di culto, al contrario, attraverso un’azione forte, quasi estrema, Gesù ha voluto rimettere al centro delle prescrizioni antiche proprio il loro autore, Dio, colui che Gesù chiama apertamente “Padre mio”. Non è difficile immaginare in che senso Dio sia stato via via messo ai margini proprio nel luogo che rappresentava la sua presenza, nel luogo del suo “incontro” con il popolo prediletto. Se c’era un posto sulla terra in cui doveva brillare il primato di Dio, in cui doveva essere naturalmente manifesto che quel posto non era come gli altri, in cui l’incontro con Dio doveva essere l’unico significato dell’essere lì, questo luogo era il Tempio di Gerusalemme.
Ora, il commercio degli animali sacrificali, la compravendita di offerte, il “business del Tempio” (cioè il fare affari) si era tanto istituzionalizzato da bastare a sé stesso, nel senso che chi ne traeva beneficio lo faceva all’ombra di Dio, ma indipendentemente da Dio, in quanto il profitto, come si sa, pian piano tende a sostituirsi al Padre Eterno. Possiamo immaginare come nel giro di pochi minuti i tavoli siano stati raddrizzati, le monete impilate al loro posto, buoi, pecore e colombe ricondotti esattamente dove erano prima: il commercio non poteva essere interrotto.
A rimanere nella memoria di molti presenti il ricordo dello strano gesto di un eccentrico, che ha sostenuto addirittura di poter far risorgere il Tempio in tre giorni come segno della sua autorità. Follia e scandalo. In realtà questo gesto era carico di forza profetica; non solo ha inteso rimettere al centro la presenza di Dio nel suo luogo tipico che è il Tempio, ma ha dichiarato, sia pure velatamente, di essere lui il nuovo Tempio, la sua persona sarebbe diventato il nuovo spazio della autentica presenza di Dio con i suoi. Un Tempio che deve essere prima distrutto per poi risorgere il terzo giorno.
I discepoli si ricorderanno di queste parole, non al Calvario, non nella fase della distruzione, ma nella ricostruzione, ovvero nell’incontro con il Risorto. Il subbuglio creato dal Signore Gesù tra i commercianti del Tempio non deve essere ridotto alla perdita della pazienza di uno zelante Gesù, ma va compreso per quello che è, un atto di zelo posto consapevolmente per ristabilire la centralità di Dio, senza il quale il Tempio stesso perde di significato, e con esso i comandamenti della vita e i precetti dell’amore.
Ma se il tempio rappresenta un luogo simbolico della casa di Dio tra noi, che dire del “tempio” vivente che “è” ogni essere umano? Quante volte il tempio di Dio che risiede nel cuore dell’uomo, viene profanato, usato, disprezzato, a volte annientato dall’uomo stesso magari chiamando tutto questo giustizia? È sotto gli occhi di tutti quanto la sacralità oggettiva di molte creature umane, persino di popoli interi, viene profanata sottomettendola agli idoli del profitto mascherati dietro la scusa del diritto alla difesa con il tacito consenso talvolta del diritto internazionale.
“Rendete a Dio quello che è di Dio” dice Gesù in un altro passo; questo dice il Signore con il gesto del rovesciare i tavoli al tempio. Non collaborate ad avvilire ciò che è di Dio, perché così avvilite voi stessi. Se questo è imperativo per un simbolo come il tempio, quanto più lo deve essere per il tempio vivente perché, dice l’apostolo Paolo, “santo è il tempio di Dio, che siete voi”. Guardiamo allo zelo del Signore per la casa del Padre e facciamolo nostro, riportando al centro del nostro tempio, cioè della nostra vita, sempre e solo il Signore Dio.
Buona domenica!