Nella Roma antica è avvenuto un passaggio chiave: dall’età repubblicana governata da un’aristocrazia a quella imperiale di impianto dittatoriale. Il noto Caio Giulio Cesare, tra gli uomini più influenti della storia, ne è stato l’artefice, tanto che gli imperatori successivi ne hanno preso il cognome, “Cesare” appunto. Un titolo che è sopravvissuto allo stesso impero romano in area germanica con il “Kaiser” e nell’est con lo “Zar”. Così il titolo di “Cesare” non solo indica l’imperatore di turno, ma tutto l’insieme politico che da esso discende. In una terra come l’Israele al tempo di Gesù, sottomesso prima alla repubblica poi all’impero, dire “Cesare” era sinonimo di tiranno, usurpatore, esattore di tasse, il contrario degli ideali di indipendenza e autonomia del popolo eletto. Si erano attivati in quell’epoca movimenti di resistenza, anche occasionalmente violenta, a Cesare, come gli “Zeloti” che lottavano per la liberazione politica di Israele, sia pure senza grandi speranze. Uno di questi, Simone, non Pietro, ma l’altro detto appunto “Zelota” apparteneva a questo movimento rivoluzionario. Ma anche la gente comune mal sopportava l’idea di dover pagare tributi a un sistema pagano e autoritario.
L’attesa del Messia, del Cristo, era molto accesa a quel tempo proprio per l’aspettativa di riacquistare la libertà perduta. Mentre tanta gente riconosceva in Gesù l’eletto di Dio, colui che parlava “con autorità” e non come gli scribi, i suoi nemici, che non credevano in lui, volevano smascherarlo pubblicamente. Da qui la domanda tranello basata sul malcontento popolare: “è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?”, ovvero collaborare con il regime tirannico? Se Gesù avesse risposto di sì, la gente si sarebbe chiesta “ma che Messia è mai questo?” e si sarebbe screditato. Se avesse risposto di no si sarebbe bollato di sovversivo e gli avrebbero scatenato contro l’autorità romana, la quale ovviamente non tollerava personaggi di quel genere e li reprimeva senza pensarci due volte.
Gesù non cade nel tranello, ma ancora una volta approfitta della situazione per elevare il pensiero, e quindi l’azione, dal livello del pensiero degli uomini al livello del pensiero secondo Dio. Gli stessi farisei chiedendo: “è lecito o no” pongono una questione morale, e chi è che legifera in questioni morali? Colui che ha dato i comandamenti, ovvero Dio. Questa la prima autorità. Poi c’è un’altra autorità, quella che chiede tributi. La legge morale Dio la imprime nell’anima, la legge mondana la si trova impressa sulle monete imperiali. “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Gesù dice che non va cercato il conflitto a tutti i costi tra l’autorità spirituale e quella materiale; sono ambiti che chiaramente non vanno separati, ma distinti sì. Il primato di Dio non è mai in discussione e per quanto riguarda le meccaniche politiche, non necessariamente esse sono nemiche del piano di salvezza. Anche se l’impero si schierasse apertamente contro Dio chi ci potrebbe impedire di essere santi e quindi salvati? Quale tiranno di questa terra ci può impedire di amare? “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” si chiede l’apostolo Paolo; né i disagi, né la povertà, né i pericoli, né le persecuzioni, nemmeno la morte stessa possiede l’autorità di distogliere il credente dal suo Signore.
Così Gesù, lungi dal proporre una soluzione di comodo, ci chiama ad un altro tipo di rivoluzione, non politica, ma teologica: ci chiama a “conversione”, cioè a dare a Dio ciò che gli spetta: il primato, l’amore, l’obbedienza ai suoi comandamenti. Combattere le tirannie del mondo, quelle antiche come quelle contemporanee che sono addirittura peggiori, con le loro stesse armi non solo è fallimentare, ma ci distrae dall’unica cosa che conta, quella che ha scelto Maria di Betania: la parte migliore. Ciò che Cesare chiede, dal momento che è suo, dateglielo e sarete liberi interiormente di confidare in Dio, di santificarvi, di convertirvi. Questa è l’arma nonviolenta che terrà in piedi il mondo accecato dalla logica delle guerre. Gli imperi passano, Cristo è sempre lo stesso. Diamo a Dio ciò che è di Dio e nessun tributo al Cesare di turno potrà mai toglierci la ricchezza interiore che il Signore è venuto a portarci.