Nella Domenica della Divina Misericordia, celebrata oggi universalmente nelle Chiese di tutto il mondo, riproponiamo una riflessione generale sul concetto di “Misericordia”, secondo padre Ermes Ronchi.
Misericordia: una parola che abbiamo immiserito, riducendola a una dimensione moralistica, al semplice perdono dei peccati, mentre il suo significato è travolgente. Parola innanzitutto plurale, composta in italiano di due parole: “misero” e “cuore”. Parola plurale anche nell’ebraico biblico: “rahamim”, plurale di “rehem”, utero. Indica l’origine della vita, grembo di madre, la matrice dell’uomo. E per analogia, le viscere di madre diventano la metafora e la sede dell’amore materno, amore viscerale.
“Misero” e “cuore” sono due termini che riempiono la Bibbia. Che anzi è scritta dal punto di vista dei “miseri”, dell’Adamo che sbaglia, del sangue di Abele, dell’Abramo migrante, del popolo schiavo in Egitto sotto il dio Faraone, dei peccatori, degli uomini che cadono nel pozzo della paura e della morte.
La parola “cuore”, invece, è evocata dalla legge che riassume tutte le altre leggi: “Amerai con tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente, tutte le forze”.
Ma ad ogni redazione di questa legge, sia nel Primo che nel Secondo Testamento, primo viene il cuore, che è il convergere, il riassunto di tutte le altre facoltà dell’uomo.
La situazione da cui tutto ha origine è la sofferenza, come scrive in un verso famoso Ungaretti:
“Fa piaga nel tuo cuore / la somma del dolore del mondo”
Fanno piaga nel cuore di Dio le piaghe del povero Lazzaro, di turbe di Lazzari alle soglie dei palazzi del ricco occidente. Scrive anche Origene: “Dio prima patì poi si incarnò”. L’Incarnazione, Gesù è il pianto di Dio fatto carne.
Leggendo il Nuovo Testamento si resta sorpresi che i termini “povero”, “poveri”, ricorrano più spesso del termine “peccatori”. Nei Vangeli, il campo semantico della povertà, debolezza, sofferenza precede ed è molto più ricorrente del campo semantico del peccato. I poveri riempiono la Bibbia, ma non le nostre liturgie. Riempiono la storia ma non il cuore. Mi piace rilanciare una citazione straordinaria del teologo J. B. Metz:
“Il primo sguardo di Gesù nel Vangelo non si posa mai sul peccato di una persona, ma sulla sua povertà e sulla sua sofferenza, per soccorrerla”.
Non è moralista il Vangelo. Siamo noi che l’abbiamo moralizzato. P. Vannucci afferma:
“Il vangelo non è una morale, ma una sconvolgente liberazione”.
Misericordia non si può ridurre, raggrinzire, disidratare al semplice paradigma “colpa/perdono”.
Gesù ha vissuto una combattiva tenerezza per i poveri.
Se vogliamo celebrare la misericordia di Dio, in liturgie che siano davvero umane, dobbiamo trovare i modi per far entrare nelle assemblee le piaghe e la sofferenza dell’uomo e del mondo. Non consumo di sacro, ma spazio per l’umanità reale. Non possiamo in chiesa cantare gli inni e poi disinteressarci delle macerie della storia…
Misericordia, dunque, è il nome di Dio. Dom Benedetto Calati dava un altro nome a Dio, diceva Dio è un “bacio”: con un bacio ha soffiato la vita in Adamo, e ancora con un bacio l’ha ripresa da Mosè, e la riprenderà da ogni creatura. Il linguaggio della Misericordia è, infine, tenerezza:
“Dio perdona con una carezza, non con un decreto” (papa Francesco).
p. Ermes Ronchi