Pilato, l’uomo che detiene il maggior potere in Gerusalemme, e il giovane rabbi disarmato: l’uno di fronte all’altro, di fronte alla storia del mondo.
Tu sei il re dei giudei? Possibile che quel galileo dallo sguardo limpido e diritto sia a capo di una rivolta, che ne nasca un pericolo per Roma? No, quell’uomo inerme è un pericolo per i complotti del sinedrio, per i giochi dei politici: ti hanno consegnato a me, vogliono ucciderti. Cosa hai fatto? Gesù mi commuove con il suo coraggio, con la sua statura interiore, mentre fa alzare sul pretorio un vento regale di libertà e fierezza. E adesso apre il mondo di Pilato, lo dilata, fa irrompere un’altra dimensione, un’altra latitudine del cuore: il mio regno non è di questo mondo, dove si combatte, si fa violenza, si abusa, si inganna, ci si divora. Nel mio regno non ci sono legioni, né spade, né predatori. Per i regni di quaggiù, per il cuore di quaggiù, l’essenziale è vincere, nel mio Regno la cosa più importante è servire. Il mio regno appartiene ai poveri, ai limpidi, ai liberi, agli artigiani della pace e della giustizia… Sono venuto per far sorgere i re di domani tra i piccoli di oggi. «Sono venuto nel mondo, per testimoniare un’altra verità». La parola di Gesù è vera proprio perché disarmata, non ha altra forza che la sua luce. È lì davanti, la verità; è quell’uomo in cui le parole più belle del mondo sono diventate carne e sangue, sono diventate vere.
Nella festa di Cristo Re non celebriamo la salita al trono del padrone del mondo, Gesù non è questo: lui è l’autore e il servitore della vita. Che ci cambia la logica della storia attraverso la rivoluzione della tenerezza, parola ultima sul senso della nostra esistenza e, insieme, sul cuore di Dio. Pilato prende l’affermazione di Gesù: io sono re, e ne fa il titolo della condanna, l’iscrizione derisoria da inchiodare sulla croce: questo è il re dei giudei. Voleva deriderlo, e invece è stato profeta: il re è visibile là, sulla croce, con le braccia aperte, dove dona tutto di sé e non prende niente di nostro. Potere vero, quello che cambia il mondo, è la capacità di amare così, di disarmato amore, fino all’ultimo, fino all’estremo, fino alla fine.
Venga il tuo Regno, Signore, e sia bello come tutti i sogni, sia intenso come tutte le lacrime di chi visse e morì nella notte per forzarne l’aurora.
Le letture: Giovanni 18, 33b-37
p. Ermes Ronchi