Il 14 settembre del 335 a Gerusalemme fu dedicata al culto la basilica che l’imperatore Costantino, ormai divenuto cristiano, aveva fatto costruire sul Golgota. In essa si venera la Santa Croce. Ben presto la festa divenne popolare e nel secolo V si diffuse anche in Occidente. La Croce di Gesù Cristo è il segno concreto e tangibile dell’Amore di Dio per l’umanità intera, è la prova della vittoria sulla morte, è il simbolo dell’umana redenzione. Tutti noi siamo salvati dalla Croce di Cristo. Per il suo sacrificio volontario e colmo di amore la morte è vinta per sempre e la salvezza dell’umanità è definitiva. La Croce va contemplata ed è degna di essere “esaltata” per amore e per rispetto, perché da essa proviene la nostra salvezza eterna. In essa, e solo in essa, è posta la nostra speranza, come si canta in un Inno: “Ave Crux, nostra spes unica”, mentre nella Colletta della Messa si prega: “O Padre, che hai voluto salvare gli uomini con la Croce del Cristo tuo Figlio, concedi a noi che abbiamo conosciuto in terra il suo mistero di amore, di godere in cielo i frutti della sua redenzione”.
Santa Gertrude di Hefta (1256-1301), invece, ebbe modo di dire, nel suo Araldo del Divino amore:
Quando ci volgiamo al crocifisso dobbiamo considerare che nel profondo del cuore il Signore Gesù ci dice con la sua dolce voce: “Guarda come per amore tuo sono stato sospeso sulla croce, nudo e disprezzato, il corpo coperto di ferite e le membra slogate. Eppure il mio Cuore è talmente pieno di dolce amore per te che, se la tua salvezza l’esigesse e non potesse essere compiuta altrimenti, accetterei di patire oggi solo per te quanto vedi che ho patito una volta per il mondo intero.” Questa riflessione deve indurci alla gratitudine, poiché, a dire il vero, mai senza una grazia di Dio il nostro sguardo incontra il crocifisso. (…)
Un’altra volta, Santa Gertrude, mentre meditava sulla Passione del Signore, comprese che la meditazione delle preghiere e lezioni relative alla Passione del Signore è infinitamente più efficace di ogni altro esercizio. Poiché, “come è impossibile toccare la farina senza che della polvere resti in mano, così non è possibile pensare con tanto o poco fervore alla Passione del Signore senza trarne frutto. Anche chi fa una semplice lettura della Passione dispone l’anima a riceverne frutto, di modo che la semplice attenzione di chi ricorda la Passione di Cristo ne trae vantaggio più che un altro con attenzione più profonda ma non sulla Passione del Signore”.
Ecco perché abbiamo cura senza posa di meditare spesso sulla Passione di Cristo, che diventi per noi come miele in bocca, melodiosa musica all’orecchio, canto di gioia nel cuore.
Madre Sofia Cichetti OSB