Omelia Festa San Benedetto da Norcia Monastero di Claro (TI), 11 luglio 2024 Pro 2,1-9; Col 3,12-17; Mt 19,27-29
1. «Il periodo di Subiaco – un periodo di solitudine con Dio – fu per Benedetto da Norcia un tempo di maturazione. Qui doveva sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta. Era infatti convinzione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno. Rappacificata la sua anima, era in grado di controllare le pulsioni dell’io, per essere un creatore di pace intorno a sé».
Carissime Sorelle, cari Oblati e fedeli tutti,
penso che queste parole così misurate pronunciate da Papa Benedetto XVI, che delineano nella sostanza l’origine dell’autorità morale del vostro Padre e Fondatore, Benedetto da Norcia – «astro luminoso» lo definiva San Gregorio Magno – possano bastarvi per capire quanto io sia la persona meno adatta per dire a voi «una parola utile per le vostre situazioni di bisogno». Tuttavia, incoraggiato dall’esortazione dell’apostolo Paolo ai Colossesi, poc’anzi ascoltata, di «ammaestrarci, ammonirci e anche sopportarci scambievolmente» (Col 3,12-17) provo a offrirvi qualche spunto di riflessione per questo giorno bello e solenne.
2. C’era un grande desiderio – narra San Gregorio Magno – nella vita di Benedetto: «Soli Deo placere desiderans», voleva «piacere solo a Dio». Questo spiega perché Benedetto fa’ del «si revera Deum quaerit», «se realmente cerca Dio», il criterio selettivo per l’accettazione di un novizio in monastero (cfr. RB 58).
Come si fa a «piacere» a Dio? Non basta la mattinata per tentare di rispondere a questo interrogativo. Inoltre, tutte le risposte che ci possono venire in mente in questo momento sono senz’altro giuste. Forse una più istintiva e che ci accomuna, potrebbe assomigliare alla medesima considerazione che l’apostolo Pietro – come ascoltato nel Vangelo – rivolge a Gesù a seguito della sua chiamata: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19,27-29). Come dire: Signore, non ti basta? Non ti piace questo di me?
Inoltre, Pietro sembra sottintendere che è il Signore a dovergli dimostrare un po’ di gratitudine: «Che cosa dunque ne otterremo?». Pietro lascia trapelare una personalità un «po’ egocentrica», non troppo dissimile dalla nostra in alcuni momenti della vita. Tutti, infatti, abbiamo una tendenza, più o meno consolidata, a guardare tutto in relazione di noi stessi. Prima io, poi gli altri.
3. San Benedetto, per piacere a Dio, ha dovuto prima estirpare da sé «la tentazione dell’autoaffermazione, la tentazione della sensualità, la tentazione dell’ira e della vendetta». Che cosa hanno in comune queste tre tentazioni? La chiusura dell’«io» o, per dirla più semplicemente, il vizio della superbia. È superando queste tre tentazioni che si «libera l’io», che ci si scrolla di dosso la polvere egoistica del prima «me stesso». Benedetto, che ha vissuto questa dinamica di conversione, a mio parere, ne ha descritto l’importanza nel capitolo settimo della Regola, immaginando il raggiungimento della «libertà dell’io» nella salita progressiva e faticosa dei «dodici gradini dell’umiltà» dove, al vertice, la ricompensa è una relazione sapienziale con Dio, filale e non servile, come ricordato dal libro dei Proverbi: «Allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio» (cfr. Pro 2,8).
Poiché Benedetto ha vissuto ciò che ha scritto, egli ha il primato e il merito della credibilità. Per quale fine? Per piacere a Dio. Prima, per essere un «creatore di pace intorno a sé» e, solo dopo, per «poter dare qualche consiglio».
Gli effetti della vittoria su queste tre antiche tentazioni sono confermati, in un certo senso, anche dalla psicologia moderna, che insegna che l’uomo «rappacificato con se stesso» – cioè che nella sua interiorità ha armonizzato le «pulsioni dell’io» – è espressione di una «personalità matura». San Benedetto, che attraverso la Regola vuole formare e radunare attorno a sé persone mature, con la sua vita ci mostra un esempio concreto di integrazione e di equilibrio tra maturità umana e maturità spirituale, tra natura e grazia. Si può forse non piacere a Dio quando si vive cosi?
4. Domandiamoci: quali sono le note più caratteristiche della nostra «maturità umana»? A me pare – voi Monache siete le esperte, dunque, correggetemi se sbaglio – che San Benedetto le abbia esposte nel capitolo settantaduesimo della Regola, dove parla dello «zelo buono che devono avere i monaci». Con un linguaggio più moderno, alcune le potremmo riassumere così:
– Autonomia e giusta dipendenza: caratteristiche che ci fanno sentire liberi e responsabili con una missione o un progetto che si realizza, sia dipendendo dall’autorità di un altro sia in autonomia;
– Autostima: caratteristica che ci fa percepire realisticamente i limiti e i talenti, sa tollerare i fallimenti, e fa sentire bene con se stessi e con gli altri;
– Bontà della vita: caratteristica di chi si lascia guidare da ideali e valori attraverso l’esercizio delle virtù. Fa capire che l’autorealizzazione è possibile solo nel bene morale, cercando di essere buoni per essere santi. Fa capire se stessi con senso dell’umorismo, senza prendersi troppo sul serio; essere felici senza essere perfezionisti.
– Capacità di dialogo: caratteristica di saper mantenere rapporti cordiali con tutti, «uscendo da sé» e vivendo una sana tensione verso Dio e verso gli altri.
– Empatia: caratteristica del saper entrare in sintonia con gli altri, comprenderli, compatire. Una persona empatica sa che per convincere, deve prima di tutto capire. Ciò significa avere «gli stessi sentimenti di Cristo», vedere con i suoi occhi, ascoltare con le sue orecchie, toccare con le sue mani.
– Identità: sapere chi siamo, conoscere il progetto della nostra vita e cercare di identificarsi con esso (cfr. Vial, Psicologia e vita cristiana, PUSC, Roma 2019).
Sappiamo bene che non basta una vita per maturare, tuttavia «avanziamo sempre di più nel processo di maturità umana man mano che la nostra vita si distacca dall’egocentrismo». (G. Allport, Psicologia della personalità, Roma 1969).
La maturità cristiana, la maturità di un consacrato, non è diversa da qualsiasi altra persona. C’è un vantaggio però, ed è che il cristiano ha come modello un uomo perfetto: Gesù. L’uomo maturo «ama il bene in Cristo» e la sua vita diventa cammino di santità, perché capace di quell’amore libero che si raggiunge, come Cristo, «uscendo da sé», donandosi. È molto diverso che domandarsi: «Che cosa ne avremo in cambio»! Solo dopo aver raggiunto la maturità umana, cioè dopo «aver perso tutto» quello che è nostro, dice Gesù, «siederete su dodici troni a governare le dodici tribù di Israele».
Solo allora avremo la consapevolezza di aver «guadagnato tutto»: «Cento volte in case, fratelli, sorelle, padri, madri, figli o campi. E non solo. In eredità, la vita eterna». (cfr Mt 19,29)
5. Pur sapendo di essere limitati non lasciamoci scoraggiare dai nostri limiti: il nostro vivere ci indebolisce e ci ferisce continuamente ed è per questo che abbiamo sempre bisogno che Dio ci curi con l’olio del suo amore e con il sangue della sua Passione. San Benedetto l’ha imparato prima di noi. Non esiste perciò la Chiesa, la famiglia, il monastero, la comunità ideale. La ricchezza di tali realtà è l’umanità delle persone che le genera. Vivere in comunità significa fare i conti con l’altro, con i suoi bisogni, le sue aspirazioni, i suoi talenti ma anche con le sue fragilità e, in questo microcosmo, le fragilità possono trasformarsi o in sofferenza o in benedizione. Dipende da noi. In un processo di maturità umana la fragilità non è mai un limite ma un’occasione che può illuminare i talenti e le capacità di ciascuno. È questo che rende il monastero, «scuola del servizio del Signore» (cfr. Prologo) luogo di integrazione e di promozione di fede e carità, di quel Bene che, per natura, si diffonde ricadendo su tutti quelli che vi si avvicinano.
San Benedetto, maestro di maturità umana e spirituale, modello di fede e di umiltà oggi ci affidiamo a te. Guardaci, illuminaci, consigliaci, intercedi e benedici tutti. Amen.