Fin dal giardino primordiale, nel momento in cui viene commessa la colpa e si deve renderne conto, inizia immediatamente lo “scaricabarile”: “È vero, ho mangiato dell’albero proibito, dice Adamo, ma la colpa non è mia, è della donna che tu, o Dio, mi hai messa accanto”. E la donna si difende: “La colpa non è mia, ma del serpente che mi ha ingannata”. “La colpa nasce orfana e muore zitella”; non la vuole nessuno, si sa, ed è proprio questo scaricare su altri le proprie responsabilità mal gestite che caratterizza la “maledizione” del mondo.
Passarsi per vittima di una situazione che non dipende da noi, mentre in gran parte dipendeva proprio da noi, sembra essere la normalità nelle relazioni tra individui, società e nazioni; non stupisce dunque il clima belligerante che sta incendiando sempre più il pianeta.
Il fanatismo nello scaricare le colpe, come il far passare progetti lungamente premeditati di conquista come operazioni di difesa, è atteggiamento che inizia nell’Eden e coinvolge lo stesso Signore Gesù.
A causa della sua predicazione e dei miracoli, i suoi si scandalizzano: “è fuori di sé”, è troppo “disallineato”, troppo “non normale”, mentre di certo erano loro che non volevano aprirsi all’evidenza per cui Dio agiva potentemente attraverso di lui.
Molto peggio gli scribi, i più istruiti e preparati tra il popolo, i quali, completamente refrattari al vangelo, gelosi per la folla che circondava Gesù e infastiditi per essere da lui rimproverati, arrivano ad attribuire il potere di Gesù di compiere miracoli al demonio stesso, per screditarlo.
Insomma, cambiano gli strumenti ma la musica è sempre la stessa: siamo ignoranti, siamo invidiosi, siamo malvagi, siamo stupidi e la colpa è sempre al di fuori di noi.
Tutto ciò applicato al Signore Gesù assume una gravità importante perché ripropone nel tempo della redenzione ciò che era avvenuto al principio della creazione, ovvero la bestemmia di Adamo: “La colpa del mio peccato non è mia, o Dio, è tua!”. Alla luce degli eventi Gesù smaschera questa tristissima condizione di usare Dio contro Dio e la definisce “peccato contro lo Spirito Santo” il quale come tale non può essere perdonato; chi lo commette “è reo di colpa eterna”.
Comprendiamone bene il significato, per non far dire a Gesù ciò che non ha detto. La misericordia di Dio è in grado di rimettere a nuovo qualsiasi peccatore, come ben sappiamo, ma a condizione di trovare uno spiraglio per entrare e guarire: un ravvedimento, un dispiacere, il prendere coscienza che, del mio peccato, la colpa è mia e solo mia. In questa condizione la potenza dello Spirito Santo entra e risana alla radice. Mentre il peccato contro lo Spirito Santo rende impermeabili alla misericordia di Dio, la fa scivolare via come l’acqua sulla cera. “Ho peccato, ma la colpa non è mia, è di qualcun altro, anzi, la colpa è tua o Dio, quindi io non ho peccato e non ho colpa”. Come si fa a perdonare qualcuno che ignora di essere un peccatore, che spara a zero sugli altri, che usa Dio per i propri fini, o lo ignora perché lo ritiene inutile e per tutto questo esalta sé stesso? Probabilmente pensiamo che il peccato contro lo Spirito Santo sia estremo e per pochi ostinati. In realtà è assai più alla nostra portata di quanto immaginiamo. Quando pretendiamo che Dio ci ascolti, ma noi non lo vogliamo ascoltare; quando sfruttiamo il prossimo per scaricargli sulle spalle le nostre responsabilità; quando le cose di Dio che non ci piacciono le attribuiamo al demonio, siamo di fatto nella triste condizione degli scribi del vangelo.