L’essenzialità narrativa dell’evangelista Marco ci aiuta a mettere a fuoco la componente irrinunciabile della vocazione cristiana; le prime parole di Gesù nel secondo vangelo ne sono la sintesi: il tempo è giunto: “Convertitevi e credete nel Vangelo”. Non c’è ragione per rimandare, il Signore è vicino, dunque è necessario convertirsi e credere.
Se il “credere” è un atto a noi familiare, un po’ meno lo è l’idea del “convertirsi” che troppo spesso riduciamo al suo senso morale: mi converto se divento più buono. È certamente vero che la conversione non ci può rendere più cattivi di prima, ma il primo “cambiamento di mentalità” (questo significa il termine greco tradotto con “conversione”) rappresenta il nostro orientamento di vita che si deve spostare in direzione del Signore Gesù.
I primi ad accogliere la chiamata di Gesù sono gli apostoli: “venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini” e “subito lasciarono le reti e lo seguirono”. L’invito alla conversione non è qui il rinunciare a qualcosa di cattivo per fare il bene; il lavoro del pescatore non è un’occupazione immorale, ma un lavoro onesto e utile.
Tuttavia il Signore trasfigura quel lavoro in un altro tipo di pesca: l’evangelizzazione, che, per usare un’altra metafora evangelica, è la raccolta delle pecore, che sono perdute e disperse, nell’unico ovile che è il regno di Dio sotto l’unico Pastore che è il Signore Gesù. Conversione dunque prima che essere rinuncia alle personali abitudini cattive, è essenzialmente il prendere Cristo sul serio quando ci carica di una responsabilità. Abituati fino a un recente passato a vivere in un corpo ecclesiale compatto, dove per ogni nuovo nato ci si aspettava un nuovo battesimo, l’idea di “responsabilità” nelle cose di Dio era quasi interamente attribuita ai preti e ai consacrati, mentre il “laico” battezzato si sentiva sostanzialmente libero da una vocazione “attiva”, ma si trattava di una distorsione, per quanto involontaria. In tempi recenti la desertificazione delle terre di antica tradizione cristiana ci aiuta a riscoprire la fondamentale vocazione alla responsabilità di ogni battezzato, cosa che consiste, oggi come ieri, per il papa come per l’ultimo arrivato tra i fratelli, nel “convertirsi” e “credere” a Cristo, parola di Dio e diventare, ciascuno secondo il proprio compito, “pescatori di uomini”, vale a dire evangelizzatori attivi in una società post cristiana dove regnano solitudine e indifferenza. Questo significa che nessun laico può più nascondersi dietro il paravento di comodo del non avere incarichi specifici ecclesiali: questi vengono distribuiti e diversificati più per questioni organizzative e ministeriali che carismatiche. Ad ogni battezzato viene affidata la stessa responsabilità apostolica data ai dodici: il relativizzare i tuoi progetti e la tua stessa vita, prendere sul serio il Signore e “subito” andare dietro a lui. Tutto ciò comporta un apostolato tutt’altro che dormiente, basato sulle nostre promesse battesimali di rinunciare al male e credere in Cristo, le quali non sono che la nostra risposta affermativa alla chiamata di Gesù: “Venite dietro a me” e tutto ciò che siete, i vostri carismi, i vostri talenti, tutto ciò che sapete fare, lo metterete in pratica per la salvezza di tutti, a partire alla vostra. Dobbiamo svegliarci dal torpore indotto dai nemici dell’umanità, che ci vorrebbero isolati, divisi e zitti, mentre piani diabolici prendono forma su questa terra quasi indisturbati. C’è un’umanità da “pescare”, da svegliare, da salvare e ciascuno di noi ha il suo compito da svolgere affidatogli direttamente dal Signore. Rinunciamo a satana, crediamo in Cristo e “subito” andiamo dietro a lui.
Conversione è smettere di sottovalutare la grazia che ci è stata data e riscoprire invece le potenzialità che essa ci dischiude.
Tutti i “dispersi”, i sofferenti, gli oppressi di questo mondo attendono che noi ci accorgiamo di loro. Ne hanno pienamente il diritto. E noi “pescatori” il dovere.
Buona domenica!