«Rialzatosi dalla preghiera, Gesù andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza» (Lc 22,45). Potrebbe sembrare davvero fuori posto, per una riflessione pasquale, partire da questo dettaglio del racconto lucano della Passione. Siamo ormai pronti per intonare l’Alleluia, mentre qui ci troviamo nel pieno della lotta interiore, vissuta da Gesù nella solitudine del Getsemani.
Eppure, è proprio questa immagine che mi sembra meglio rappresentare l’impatto che il giorno della Risurrezione di Gesù dai morti deve avere su noi, in questo tempo di travaglio e di inquietudine. Siamo passati, senza soluzione di continuità, dal cauto sollievo per una lenta e ancora incerta uscita dalla pandemia, al clima di angoscia provocato da una guerra carica di oscuri presagi.
Come ci trova il Signore che si è levato dal suo giaciglio nel sepolcro? Come i discepoli nell’orto! Addormentati per la tristezza, frastornati dal dolore, intontiti di fronte all’arroganza con cui le forze del male sembrano prevalere sui nostri desideri di pienezza di vita e di pace.
C’è un punto, infatti, che ci appare sempre più chiaro, dopo quello che abbiamo passato insieme e ancora stiamo vivendo: le tragedie non ci rendono immediatamente più lucidi e vigili nel guardare le cose. I drammi della storia non contribuiscono direttamente a farci tenere aperti gli occhi. È piuttosto vero il contrario! La mancanza di gioia ci disumanizza, spinge l’essere umano alle barbarie, all’ottundimento della sensibilità e della coscienza. L’assenza di speranza e di prospettiva induce al cinismo e all’indifferenza.
Su questo sfondo va considerata l’esultanza della Pasqua. Essa non si presenta come un patetico tentativo di distoglierci dagli spettacoli di violenza e di desolazione che ogni giorno passano sotto i nostri occhi di cittadini del mondo. Non è un modo per cercare di attenuare la sciagura della guerra. È piuttosto la vera risorsa che ci può scuotere dal sonno, liberarci dal torpore, restituirci la possibilità di abitare consapevolmente lo spazio che a ciascuno è affidato, perché vi risplenda un raggio di bellezza, di bontà e di verità.
È la possibilità di passare, anche in mezzo alle più enigmatiche circostanze della storia, da una condizione di sopravvivenza umbratile, incerta e vacillante, alla vita piena dei figli di Dio nel Figlio, che ci afferra e ci prende con sé strappandoci dagli inferi della nostra condizione umana.
La grande menzogna, invece, cerca di farci credere che noi non siamo responsabili della nostra gioia, che siamo condannati all’impotenza di fronte al male. Fa di tutto per convincerci che, a un certo punto, nulla può trattenerci dalla disperazione, che la tristezza è una fatalità ineluttabile. Così ci fa morire dentro prima ancora di essere giunti al termine del nostro cammino su questa terra. Al contrario, Colui che si è alzato dai morti, «Colui che nei giorni della sua vita terrena… offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte… per il suo pieno abbandono a lui venne esaudito, divenne causa di salvezza eterna per coloro che gli obbediscono» (Eb 5,7-9). In questo modo, Cristo si è interposto, una volta per sempre, tra noi e l’ineluttabile. Ha disinnescato alla radice la dinamica della violenza. Ci ha liberati dall’inganno.
Così, se noi non lo vogliamo, nessuno ci può più costringere a vivere una vita senza amore e senza gioia, usando il pretesto del pericolo di perdere, di diminuire e di morire. Possiamo onorare le attese più profonde e quelle che normalmente ci appaiono le speranze più folli del nostro cuore!
«Alzatevi e pregate, per non cadere in tentazione» (Lc 22,46). Nell’orto del Getsemani queste parole di Gesù hanno ancora il sapore austero dell’esortazione, dell’appello accorato a vigilare per evitare un pericolo incombente. Davanti al sepolcro vuoto, il mattino di Pasqua, ne gustiamo finalmente la dolcezza e la forza. Infatti, «tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto: «Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà»» (Ef 5,14).
Non abbiamo paura di ammettere che «i giorni sono cattivi» (Ef 5,16): a Pasqua, però, a chi lo desidera veramente non è negata la grazia di rendere questi giorni buoni e luminosi, per sé e per chi oggi gli è dato d’incontrare. Buona Pasqua a tutti!
Mons. Valerio Lazzeri, vescovo di Lugano