Quest’anno, per accompagnare i miei auguri di Natale, sono tornato a un antico amore. Pensavo al contrasto tra l’annuncio di gioia pura e incondizionata, inseparabile dall’immagine che ci facciamo della festa, e il reticolo di preoccupazioni, di sofferenze e di paure in cui siamo ancora impigliati nel tempo che ci tocca vivere.
Mi è così venuto in mente un testo di San Giovanni della Croce, da me avvicinato negli anni degli studi teologici: una romanza, in cui il grande mistico spagnolo del XVI secolo, coglie nello sguardo di Maria sul Bambino appena deposto nella mangiatoia, l’essenza del mistero, di cui ancora una volta siamo chiamati a fare memoria:
«La Madre era colma di stupore
nel vedere un simile scambio:
il pianto dell’uomo in Dio
e nell’uomo gioia divina
l’uno all’altro tanto estranei prima».
Forse, proprio qui è il nocciolo della questione! Continuiamo a pensare che vi sia un abisso d’incomunicabilità tra l’alto e il basso della nostra condizione umana. Non riusciamo a vedere il nesso tra la sublime prospettiva dischiusa dalla fede e la terribile e tragica banalità con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno, tra ciò che ci fa penare e ciò che vorremmo vivere. La tentazione allora è quella di attribuire tutto alle circostanze storiche della nostra epoca: la pandemia, i cambiamenti climatici, il dramma infinito dei migranti, i conflitti e le ingiustizie di ogni tipo. Il Natale, insomma, avrebbe poco senso perché viviamo di fatto un tempo gramo.
Che abbaglio sciagurato! Non è così! Se arriviamo a una simile conclusione è perché ci sfugge l’incandescenza inesauribile dell’evento: l’estrema e irreversibile prossimità, in Gesù che nasce da Maria, tra tutto ciò che ancora ci fa soffrire e ciò che continuamente e gratuitamente ci viene donato, tra il buio che s’infittisce, dentro e fuori di noi, e la Luce misteriosa che, continuamente e in maniera sempre imprevedibile, vi trapela e vi si manifesta.
Sì, è così! Il Natale smaschera la fantasmagoria con cui il Nemico tenta vanamente di tenerci separati dalla Sorgente della vita. Nella semplicità di Betlemme, brilla tutto lo splendore della verità: il dolore più profondo che un essere umano può provare, quello di non sentirsi amato e di non poter amare, è in contatto reale e attuale con il mistero di Dio che si fa uomo e assume personalmente la fragilità dell’offrirsi, senza alcuna garanzia che l’altro ci accolga o si curi di noi.
Nel presepio è annullata la radice di ogni contrasto tra l’umano e il divino. La differenza più vertiginosa – quella tra Creatore e creatura – si presenta nell’umanità del Figlio come la realtà concreta di una comunione indissolubile. È posto il fondamento irrevocabile, da cui si diffonde, silenziosamente e nel segreto di ogni cuore, la linfa capace di guarire le più profonde ferite del corpo e dello spirito.
Ecco l’incandescenza del Natale! Non c’è bollettino sanitario negativo, non c’è notiziario allarmante o triste bilancio dell’anno, che abbia il diritto di spegnere in noi la gioia della nascita di Gesù. Non dobbiamo rimandare l’esultanza del cuore ad altri luoghi o ad altre circostanze. Sulla paglia morta della mangiatoia di Betlemme è posto l’Autore della vita. Non c’è enigma, groviglio o amarezza umana che non abbia a che fare con Colui che nasce dalla Vergine. Non c’è beatitudine divina che non possa essere accolta dalla carne martoriata e inquieta della nostra umanità.
Buon Natale a tutti!
Valerio Lazzeri,
Vescovo di Lugano