Francesco celebra la messa per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo, testimoni di “una Chiesa liberata”. Pietro, liberato dal “senso della sconfitta” e dalle “insicurezze”; Paolo, liberato dalle “ipocrisie dell’esteriorità” e dalla “tentazione di imporci con la forza del mondo”.
I due Apostoli, guariti da Cristo
Nell’omelia, il Papa ricorda la testimonianza dei due Apostoli: “Al centro della loro storia non c’è la loro bravura, ma l’incontro con Cristo che ha cambiato la loro vita. Hanno fatto l’esperienza di un amore che li ha guariti e liberati e, per questo, sono diventati apostoli e ministri di liberazione per gli altri”. Proprio la libertà è ciò di cui necessita la Chiesa.
“Abbiamo sempre bisogno di venire liberati, perché solo una Chiesa libera è una Chiesa credibile.”
Pietro, liberato dalle paure e dal senso di fallimento
Pietro e Paolo sono liberi, ma perché “liberati”, sottolinea il Vescovo di Roma. Pietro, il pescatore di Galilea, è stato anzitutto liberato dal “senso di inadeguatezza e dall’amarezza del fallimento”, grazie all’“amore incondizionato di Gesù”:
Pur essendo un esperto pescatore, ha sperimentato più volte, nel cuore della notte, il gusto amaro della sconfitta per non aver pescato nulla e, davanti alle reti vuote, ha avuto la tentazione di tirare i remi in barca; pur essendo forte e impetuoso, si è fatto prendere spesso dalla paura; pur essendo un appassionato discepolo del Signore, ha continuato a ragionare secondo il mondo senza riuscire a comprendere e accogliere il significato della Croce del Cristo; pur dicendosi pronto a dare la vita per Lui, gli è bastato sentirsi sospettato di essere dei suoi per spaventarsi e arrivare a rinnegare il Maestro.
Eppure Gesù “lo ha amato gratuitamente” e “ha scommesso su di lui”. “Lo ha incoraggiato a non arrendersi, a gettare ancora le reti in mare, a camminare sulle acque, a guardare con coraggio alla propria debolezza, a seguirlo sulla via della Croce, a dare la vita per i fratelli, a pascere le sue pecore”. Così l’apostolo è stato “liberato dalla paura, dai calcoli basati sulle sole sicurezze umane, dalle preoccupazioni mondane, infondendogli il coraggio di rischiare tutto e la gioia di sentirsi pescatore di uomini”. “Ha chiamato proprio lui a confermare nella fede i fratelli”. È dunque, quella di Pietro, una “storia di apertura, di liberazione, di catene spezzate, di uscita dalla prigionia che rinchiude”, come quella del popolo di Israele liberato dal giogo della schiavitù d’Egitto. “Pietro fa l’esperienza della Pasqua: il Signore lo ha liberato”, dice il Papa.
Paolo, liberato dal suo “io” e dalla rigidità
Allo stesso modo, l’Apostolo Paolo ha sperimentato la liberazione di Cristo. È stato liberato da una schiavitù ancora “più opprimente”, quella del suo “io”, come pure “dallo zelo religioso che lo aveva reso accanito nel sostenere le tradizioni ricevute e violento nel perseguitare i cristiani. Era un violento”.
Due giganti della fede
Questi due “giganti della fede” hanno quindi “liberato la potenza del Vangelo nel mondo, solo perché sono stati prima liberati dall’incontro con Cristo”. “Egli non li ha giudicati, non li ha umiliati, ma ha condiviso la loro vita con affetto e vicinanza, sostenendoli con la sua stessa preghiera e, qualche volta, richiamandoli per scuoterli al cambiamento”. Gesù fa così anche con ognuno di noi.
“Ci assicura la sua vicinanza pregando per noi e intercedendo presso il Padre; e ci rimprovera con dolcezza quando sbagliamo, perché possiamo ritrovare la forza di rialzarci e riprendere il cammino”
L’osservanza formale della religione e la difesa a spada tratta della tradizione, invece che aprirlo all’amore di Dio e dei fratelli, lo avevano irrigidito. Era un fondamentalista. Da questo Dio lo liberò; e, invece, non gli risparmiò tante debolezze e difficoltà che resero più feconda la sua missione evangelizzatrice: le fatiche dell’apostolato, l’infermità fisica; le violenze e le persecuzioni, i naufragi, la fame e la sete.
Una Chiesa debole ma forte per la presenza di Dio
“Come Pietro – dice Papa Francesco -, siamo chiamati a essere liberi dal senso della sconfitta dinanzi alla nostra pesca talvolta fallimentare; a essere liberi dalla paura che ci immobilizza e ci rende timorosi, chiudendoci nelle nostre sicurezze e togliendoci il coraggio della profezia”. “Come Paolo – aggiunge -, siamo chiamati a essere liberi dalle ipocrisie dell’esteriorità; a essere liberi dalla tentazione di imporci con la forza del mondo anziché con la debolezza che fa spazio a Dio; liberi da un’osservanza religiosa che ci rende rigidi e inflessibili; liberi dai legami ambigui col potere e dalla paura di essere incompresi e attaccati”.
Dunque l’immagine di Chiesa che i due Apostoli restituiscono è l’immagine di una Chiesa “debole, ma forte della presenza di Dio”; una Chiesa “liberata che può offrire al mondo quella liberazione” dal peccato, dalla morte, dalla rassegnazione, dal senso dell’ingiustizia e, soprattutto, dalla “perdita della speranza che abbruttisce la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo”.
“Le nostre città, le nostre società, il nostro mondo, quanto hanno bisogno di liberazione? Quante catene vanno spezzate e quante porte sbarrate devono essere aperte!”