“E le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”. Il racconto del Vangelo di questa II Domenica di Quaresima – Mc, 9, 2-10 – è tessuto ad arte con i fili dorati della lingua dell’Esodo; vi troviamo infatti parole come “monte”, “nube”, “voce”, “splendore”, “ascolto”, un insieme di vocaboli che costituiscono la cornice di molte rivelazioni vetero- e neotestamentarie. Nuovo invece è il grido entusiasta di Pietro: che bello qui! Esperienza di bellezza, da cui sgorga gioia senza interessi. Marco sta raccontando un momento di felicità di Gesù che contagia i suoi. A noi che il fariseismo eterno ha reso diffidenti verso la gioia, viene proposto un Gesù che non ha paura della felicità. E i suoi discepoli con lui. Tanti i motivi di questa manifestazione di gioia: Gesù è felice perché la luce è un sintomo, il sintomo che lui, il rabbi di Nazaret, che sta camminando verso il volto di Dio; e poi perché si sente amato dal Padre, sente le parole che ogni figlio vorrebbe sentirsi dire; ed è felice perché sta parlando dei suoi sogni con i più grandi sognatori della Bibbia, Mosè ed Elia, il liberatore e il profeta; perché ha vicino tre ragazzi che non capiscono granché, ma che comunque gli vogliono bene, e lo seguono da anni, dappertutto.
Anche i tre apostoli guardano, si emozionano, sono storditi, sentono l’urto della felicità e della bellezza sul monte, qualcosa che toglie il fiato: che bello con te, rabbi! Vedono volti imbevuti di luce, occhi di sole, quello che anche noi notiamo in una persona felice: ti brillano gli occhi! Vorrebbero congelare quella esperienza, la più bella mai vissuta: facciamo tre capanne! Fermiamoci qui sul monte, è un momento perfetto, il massimo! C’è un Dio da godere, da esserne felici. Ma è un’illusione breve, la vita non la puoi fermare, la vita è infinita e l’infinito è nella vita, ordinaria, feriale, fragile e sempre incamminata. La felicità non la puoi conservare sotto una campana di vetro o rinchiudere dentro una capanna. Quando ti è data, miracolo intermittente, godila senza timori, è una carezza di Dio, uno scampolo di risurrezione, una tessera di vita realizzata. Godi e ringrazia. E quando la luce svanisce e se ne va, lasciala andare, senza rimpianti, scendi dal monte ma non dimenticarlo, conserva e custodisci la memoria della luce vissuta.
Così sarà per i discepoli quando tutto si farà buio, quando il loro Maestro sarà preso, incatenato, deriso, spogliato, torturato, crocifisso. Come loro, anche per noi nei nostri inverni, sarà necessario cercare negli archivi dell’anima le tracce della luce, la memoria del sole per appoggiarvi il cuore e la fede. Dall’oblio discende la notte.
p. Ermes Ronchi